Il packaging è dappertutto: protegge i prodotti, ne facilita il trasporto, ne comunica l’identità. Ma oggi, proprio quell’involucro che ci appare così innocuo, è diventato uno dei principali nodi critici della sostenibilità. Secondo l’OCSE, gli imballaggi rappresentano oltre il 40% della plastica utilizzata nel mondo. Il risultato? Rifiuti difficili da smaltire, impatti ambientali significativi, un’impronta ecologica sempre più pesante.
La buona notizia è che la regolamentazione sta facendo passi da gigante, in tutto il mondo. Governi e istituzioni internazionali stanno alzando l’asticella, adottando normative packaging sostenibile per ridurre l’impatto ambientale del packaging. Il mondo si sta muovendo verso un nuovo paradigma: imballaggi riutilizzabili, riciclabili, compostabili o realizzati con materiali rinnovabili.
Un cambio di rotta guidato dalla legge
Per decenni, il packaging è stato considerato un elemento funzionale e strategico, ma relegato alle scelte autonome delle aziende: forma, materiale, impatto ambientale erano decisioni prese in base a logiche di marketing, costo o praticità logistica. Oggi, però, questo paradigma sta cambiando radicalmente. Sempre più governi, a livello nazionale e sovranazionale, stanno intervenendo per regolamentare in modo stringente la produzione, l’utilizzo e lo smaltimento degli imballaggi, trasformando ciò che era una variabile aziendale in una responsabilità collettiva.
La spinta normativa si concentra su quattro grandi direttrici. Innanzitutto, viene messo un freno deciso all’utilizzo della plastica vergine e monouso, considerata tra le principali cause dell’inquinamento ambientale, soprattutto marino. In secondo luogo, viene promosso e in molti casi reso obbligatorio l’impiego di materiali riciclati, in un’ottica di economia circolare che valorizza le risorse già esistenti. Parallelamente, prende sempre più piede il principio della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), che attribuisce alle aziende non solo l’onere della progettazione dell’imballaggio, ma anche quello della sua gestione post-consumo, compresi i costi di raccolta e riciclo. Infine, stanno emergendo standard precisi che definiscono cosa può davvero essere considerato compostabile o riciclabile, scoraggiando l’ambiguità e il cosiddetto greenwashing.
Questo cambiamento normativo, ancora in evoluzione ma già incisivo, sta ridefinendo il ruolo del packaging nelle filiere produttive. Ed è interessante osservare come le principali aree del mondo – dall’Europa agli Stati Uniti, passando per l’Asia, l’Africa e l’America Latina – si stiano muovendo lungo queste direttrici, ciascuna con approcci, velocità e priorità diverse, ma tutte unite da un obiettivo comune: ridurre l’impatto ambientale degli imballaggi e promuovere un modello di consumo più responsabile.
Vediamo quali sono le normative internazionali packaging.
Europa: il pacchetto normativo più ambizioso
In nessun altro luogo come in Europa la transizione verso un packaging più sostenibile è guidata da una visione così strutturata e vincolante. Con l’approvazione, nel 2024, del Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (PPWR), il Parlamento Europeo ha inaugurato una nuova stagione di regole che ridisegnano radicalmente il futuro del settore. L’obiettivo è duplice: da un lato ridurre la quantità complessiva di imballaggi immessi sul mercato, dall’altro fare in modo che ciò che rimane sia davvero parte di un sistema circolare.
Il regolamento introduce, infatti, limiti sempre più stringenti all’uso della plastica vergine e impone quote obbligatorie di contenuto riciclato, con l’intento di stimolare un mercato che sappia valorizzare le risorse già in circolazione. Non si tratta solo di aumentare il riciclo, ma di cambiare la logica stessa della progettazione: entro il 2030, tutti gli imballaggi dovranno essere riciclabili su larga scala, secondo criteri condivisi e misurabili. Allo stesso tempo, Bruxelles dichiara guerra all’overpackaging, vietando quegli imballaggi considerati superflui o addirittura dannosi, come le confezioni monodose nei ristoranti o le vaschette per frutta e verdura vendute già sfuse.
Un tassello decisivo di questa rivoluzione è rappresentato dalla Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), che diventa obbligatoria e armonizzata in tutti i Paesi membri. Con essa, i produttori non si limitano più a immettere sul mercato gli imballaggi, ma sono chiamati a farsi carico anche dei costi della loro gestione una volta diventati rifiuti. È un cambio di prospettiva che sposta il peso economico ed etico sul soggetto che ha il potere di innovare a monte, incentivando così soluzioni più sostenibili e durature.
Nord America
Stati Uniti: una regolamentazione frammentata ma in espansione
Dall’altra parte dell’Atlantico, il quadro normativo appare meno omogeneo. Negli Stati Uniti, infatti, l’assenza di una legge federale che disciplini in maniera unitaria il packaging sostenibile ha lasciato spazio a un mosaico di iniziative locali. Sono i singoli stati a muoversi in prima linea, delineando percorsi diversi ma accomunati dalla volontà di ridurre l’impatto degli imballaggi.
La California è oggi il laboratorio più avanzato: con il Packaging Producer Responsibility Act del 2022 ha imposto una riduzione del 25% della plastica da imballaggio entro il 2032 e stabilito quote minime di contenuto riciclato, un passo che ha fatto scuola anche per altre giurisdizioni. A ruota hanno seguito Oregon, Maine e Colorado, introducendo leggi di responsabilità estesa del produttore (EPR) che spostano sui brand parte dei costi e delle responsabilità legate alla gestione dei rifiuti.
In questo contesto frammentato, un elemento interessante è la capacità del mercato di reagire con rapidità. Molti grandi retailer e marchi globali, consapevoli delle diverse normative locali ma anche della crescente pressione dei consumatori, stanno rivedendo in anticipo le proprie strategie di packaging. È il caso, ad esempio, di Walmart, che ha fissato l’obiettivo di rendere riciclabili, riutilizzabili o compostabili tutti gli imballaggi a marchio proprio entro il 2025, o di Amazon, che con il programma Frustration-Free Packaging ha eliminato milioni di tonnellate di materiali superflui ridisegnando le confezioni insieme ai fornitori. Anche colossi del beverage come Coca-Cola e PepsiCo stanno accelerando sulla transizione: la prima ha introdotto bottiglie realizzate interamente in PET riciclato, mentre la seconda sperimenta imballaggi compostabili e punta a dimezzare l’uso di plastica vergine entro il 2030.
Tutti segnali che mostrano come, negli Stati Uniti, la spinta verso un packaging più sostenibile non arrivi solo dalle leggi, ma anche dalla volontà delle imprese di guidare il cambiamento e rispondere a una domanda sociale sempre più chiara.
Canada: un approccio severo alla plastica monouso
Il Canada ha scelto una linea particolarmente rigorosa nella regolamentazione del packaging. A partire dal 2025 entrerà in vigore il regolamento SOR/2022-138, che vieta quasi tutti i prodotti in plastica monouso, dai sacchetti alle posate, segnando una svolta decisa nella gestione dei materiali da imballaggio. Il provvedimento non si limita a colpire gli usi più evidenti della plastica, ma stabilisce anche criteri molto chiari per ciò che può essere definito compostabile: saranno ammesse soltanto le soluzioni certificate da enti terzi riconosciuti, in grado di dimostrarne l’effettiva biodegradabilità e sicurezza ambientale. Inoltre, vengono esclusi dai packaging compostabili alcuni materiali controversi, come PFAS, PVC e polistirene, spesso utilizzati in passato ma ormai considerati incompatibili con un percorso realmente sostenibile. Si tratta di un quadro normativo tra i più stringenti a livello internazionale, che mette l’industria del packaging di fronte a un ripensamento radicale e che, per la sua chiarezza e fermezza, potrebbe diventare un punto di riferimento anche per altri Paesi.
Messo a confronto con gli Stati Uniti, il quadro canadese appare quasi opposto, forse più vicino all’approccio europeo. Se oltreoceano la mancanza di una cornice federale ha dato vita a una regolamentazione frammentata, affidata all’iniziativa dei singoli stati, Ottawa ha scelto la via della chiarezza e della severità, imponendo standard nazionali uniformi e vincolanti. Laddove le imprese americane si muovono in un puzzle di regole diverse e spesso disomogenee, il Canada ha preferito fissare paletti netti e uguali per tutti, fornendo così al mercato una bussola precisa e riducendo le aree grigie in cui l’industria del packaging tendeva a muoversi.
Asia- Pacifico: tra stretta normativa e gestione delle emergenze ambientali
La regione Asia-Pacifico è oggi uno degli epicentri della battaglia contro l’inquinamento da plastica. Qui, l’enorme crescita dei consumi si scontra con sistemi di gestione dei rifiuti spesso insufficienti, trasformando la sfida del packaging sostenibile in una questione non solo ambientale, ma anche sociale ed economica.
In Cina, il più grande produttore di plastica al mondo, il governo ha adottato una strategia graduale ma incisiva: divieti progressivi su alcune categorie di plastica monouso, incentivi all’uso di materiali riciclati e obiettivi di contenuto riciclato obbligatorio. A questo si aggiunge un’attenzione particolare alla sicurezza alimentare dei materiali utilizzati per il packaging, con controlli severi e standard molto dettagliati.
Il Giappone, tradizionalmente attento alla qualità e alla sicurezza dei materiali, ha impostato la sua strategia su un doppio binario. Da un lato, normative molto precise regolano la composizione del packaging alimentare; dall’altro, stanno prendendo forma misure mirate a ridurre i rifiuti complessivi e ad accelerare la transizione verso materiali riciclabili, con un approccio graduale ma costante.
In India, la svolta è arrivata con il divieto, nel 2022, di una vasta gamma di plastiche monouso, accompagnato dall’introduzione di regole stringenti sulla responsabilità estesa del produttore. Il settore del retail e del food packaging è stato particolarmente coinvolto, costringendo brand e catene di distribuzione a ripensare i propri modelli.
Anche l’Australia si è posta obiettivi chiari a livello nazionale: ridurre drasticamente la dipendenza dagli imballaggi monouso e assicurare che, entro il 2025, la maggior parte dei packaging immessi sul mercato sia riciclabile. Si tratta di un impegno che mira a trasformare l’intera filiera, coinvolgendo aziende, istituzioni e consumatori.
Infine, nel Sud-est asiatico, l’adozione di nuove regole procede in modo disomogeneo ma con una tendenza comune: Vietnam, Indonesia, Filippine, Thailandia e Singapore stanno introducendo restrizioni sulla plastica monouso e sistemi di EPR, seppur in fasi e modalità diverse. In questa parte del mondo, la pressione dell’opinione pubblica e l’urgenza di tutelare mari e coste, gravemente colpiti dall’inquinamento, stanno accelerando l’adozione di politiche che fino a pochi anni fa sembravano lontane.
Nel complesso, l’area Asia-Pacifico si conferma come un laboratorio in rapido movimento: pur con approcci differenti, i Paesi della regione condividono la necessità di ripensare in profondità il modello di produzione e consumo degli imballaggi, spinti da una realtà ambientale che non concede più rinvii.
America Latina e Africa: sperimentazioni e sfide
In America Latina, la regolamentazione del packaging sta muovendo i primi passi ma alcuni Paesi si sono già distinti come pionieri. Il Cile ha introdotto una delle leggi di responsabilità estesa del produttore più avanzate della regione, che coinvolge in modo diretto anche il settore degli imballaggi e rappresenta un modello di riferimento per tutto il continente. In Colombia, Messico e Argentina la strategia è stata diversa ma complementare: qui il fulcro è la riduzione della plastica monouso, ottenuta attraverso divieti mirati e politiche che incoraggiano una maggiore raccolta differenziata, con l’obiettivo di rafforzare sistemi di gestione dei rifiuti ancora fragili.
Anche l’Africa offre esempi significativi, con Paesi che hanno scelto di agire con decisione. Il Rwanda si è imposto come caso virtuoso a livello internazionale, vietando la plastica monouso già nel 2008 e dimostrando che anche misure drastiche possono avere successo. Sulla stessa scia si sono mossi il Kenya e il Sudafrica, che negli ultimi anni hanno introdotto normative simili, cercando di bilanciare lo sviluppo economico con una crescente attenzione alla sostenibilità. In entrambi i continenti, il cammino è fatto di sperimentazioni, sfide infrastrutturali e volontà politica, ma la direzione intrapresa è chiara: ridurre l’impatto ambientale degli imballaggi e costruire modelli di consumo più responsabili.
Verso un linguaggio comune globale?
La mappa delle normative sul packaging racconta un mondo in rapido movimento, dove ogni regione procede con strumenti, tempi e priorità differenti. L’Europa ha scelto di guidare la transizione con un pacchetto normativo ambizioso e vincolante, gli Stati Uniti sperimentano un mosaico di regole statali, il Canada ha adottato una linea chiara e severa, mentre l’Asia-Pacifico affronta la questione con misure che rispondono a emergenze ambientali sempre più pressanti. America Latina e Africa, pur tra difficoltà strutturali, stanno mostrando che anche in contesti complessi è possibile aprire la strada a soluzioni innovative.
Ciò che accomuna questi scenari è la presa di coscienza che il packaging non è più un dettaglio tecnico o commerciale, ma una leva centrale della sostenibilità. Le normative stanno accelerando il cambiamento, spingendo aziende e consumatori a ripensare abitudini e filiere, e creando al tempo stesso nuove opportunità di innovazione e competitività.
Se oggi il quadro appare ancora frammentato, il percorso verso un linguaggio comune è già avviato: i negoziati per un trattato globale sulla plastica e l’allineamento progressivo degli standard indicano che, nel prossimo futuro, potremmo assistere alla nascita di regole condivise capaci di guidare un mercato globale più responsabile. La sfida è complessa, ma la direzione è tracciata: fare del packaging non un problema da gestire, ma una parte della soluzione per costruire un’economia davvero circolare.
Le normative attuali, seppur migliorabili e armonizzatili, una realtà concreta, che già oggi impone alle aziende un profondo ripensamento del design, dei materiali e dei modelli di consumo. La regolamentazione sta spingendo l’innovazione, aprendo la strada a filiere più circolari, responsabili e trasparenti.
Per i consumatori, il cambiamento si traduce in nuove abitudini e in una maggiore consapevolezza. Per le imprese, rappresenta una sfida ma anche un’opportunità per distinguersi, innovare e contribuire a un futuro più sostenibile.